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Dalla Saltafoss agli orologi

Ogni generazione ha il suo mito per sport e giochi. Non mi riferisco però ai trenini elettrici, alle automobiline sulle piste o ai modellini radiocomandati che in seno alla FIM hanno visto accanite gare, tutti giochini che appassionavano noi figli, ma soprattutto i nostri padri.

Per la mia generazione, anni ’60-70, ho pensato alle biciclette. Man mano che crescevo me ne avevano regalate diverse; sulla discesa della villa a Bormio, frenavo aiutato dalla punta degli scarponi da sci e sono riuscito a smussarla (oggi potrei dire quasi con un anglage da maestro orologiaio). Stravedevo per la Saltafoss; ne ho avuto una, magnifica, con il telaio dorato. Allora la Graziella pieghevole la faceva ovunque da padrona, ma noi preferivamo il mito americano: sella extralunga e manubrio rialzato, proprio come i poliziotti in sella alle Harley-Davidson.

In bicldetta a Bormio, una pubblicità della Saltafoss, modellini all'Idroscalo

A Bormio, pubblicità Saltafoss, modellini all’Idroscalo

In quanto ai modellini di auto o di motoscafi, oggi mi sembra siano sostituiti da una generazione di robot connessi, minidroni, sui quali vengono montate persino telecamere (con buona pace della privacy) per riprese da vedere poi sul computer. Toys for boys anche cresciuti. A seconda dei modelli i Parrot nella foto sotto, guidati dal telecomando, si arrampicano o volano.

Minidroni Parrost, a sinistra dumping, a destra rolling

Parrot minidrones, jumping Sumo e, sotto, Rolling Spider

In seguito con gli orologi ho vissuto per intero un altro personalissimo rapporto: sono stato uno dei tanti, seppur non così numerosi come oggi. Devo tutto ai miei genitori che, rientrati dalla trasferta preolimpica di Lake Placid, mi portarono un Seiko ultrapiatto con l’ora digitale rossa! Pesava pochissimo e non sentendolo al polso, finì la sua breve carriera di ben quattro giorni in piscina. Già! Lì imparai la differenza tra cassa impermeabile, subacquea e non! I tentativi di rianimarlo con un asciugacapelli si rivelarono del tutto inutili. Il più che degno sostituto fu poi un Casio Marlin, acquistato a Monaco di Baviera. Ancora oggi resiste alle sollecitazioni più estreme.
Dopo tre decadi di orologeria è bello chiudere gli occhi e passare in rassegna i i modelli visti e, alcuni anche portati al polso, in parte come free-lance, in parte come agente diretto di una Casa madre con la C maiuscola, in quanto Manifattura di fatto!

A chi ama questo mondo suggerirei, portafoglio permettendo, qualche nome, per esempio Gegé (alias Jaeger-LeCoultre pronunciato alla francese), Audemars (Piguet), Breguet, Patek (vale a dire Patek Philippe) e Rolex. Sono queste le Marche faro per il settore. Ma visto i loro prezzi ve ne sono quasi un centinaio d’altre (da Eberhard a Breitling per dire i primi che mi vengono in mente) che possono allietare le nostre ore con prezzi più abbordabili.

Riconoscere a metri di distanza un modello, che di media ha un diametro di 39 mm, è sempre fonte di enorme soddisfazione. La fugacità del tempo è più che controbilanciata dall’estetica e dalla meccanica del modello scelto. Un compagno come i vestiti, ma con il vantaggio che il tempo non ne provoca sdruciture né lisa la struttura portante, mentre ne aumenta il valore, soprattutto emozionale. Oggi preferisco l’orologio portato da mio padre, ma per le attività sportive, più a rischio di shock, la scelta cade sui modelli mirati: per moto, nuoto, corsa e…bicicletta!

PS: ora la mia Saltafoss è una MTB… come cambia il tempo! (Lorenzo Sutti)

 

One comment on “Dalla Saltafoss agli orologi

  1. Lory ha detto:

    Belllllllllooooo!!!!
    Tanto non mi editi…. hahaha
    Baci Lo
    Berlino

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