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I rubini nel movimento

Sulla bella rivista di Patek Philippe – vol.IV n.7 – abbiamo letto un interessante articolo di Nicolas Foulkes sui rubini sintetici prodotti a Le Brassus da La Pierrette, azienda la cui “proprietà è condivisa da Patek Philippe, Rolex e il Gruppo Richemont”.

On Patek Philippe beautiful Magazine n°7, we read an interesting articles written by Nicolas Foulks about La Pierrette’s production of jewels for watches and we would like to publish something more about history which involved also some Italian firms, mainly in Soresina.

La copertina della rivista Patek Philippe e la prima pagina dell’articolo

Alle sei pagine corredate da belle fotografie della produzione, che si aggira tra 40 e 50 milioni di rubini sintetici all’anno, vorremmo però aggiungere qualcosa che coinvolge non solo la storia delle pietre usate per attutire, nel movimento meccanico, gli attriti dei componenti, ma anche l’Italia.

Infatti su POLSO avevamo recensito nel 1991 il libro “Le Pietre” di Gian Paolo Mainardi, edito dalla Pro Loco di Soresina(CR) per ricordare come questo piccolo centro nel XIX sec. fosse stato uno dei principali fornitori dell’industria orologiera svizzera. Era stato un imprenditore locale, Giovanni Senigaglia, che aveva lavorato a lungo in Svizzera, ad aprire un suo laboratorio che dava lavoro a una cinquantina di addetti, numero arrivato a superare le duemila unità negli anni ’20, con aziende non solo a Cremona, ma anche a Bergamo e Novara.

La recensione del 1991 e le pagine dell’Enciclopedia, vol.Tecnica, del 1995

Sull’Enciclopedia degli orologi da polso del 1995, ho poi ulteriormente sviluppato l’argomento. Sembra sia stato Nicolas Facio, svizzero nato a Basilea nel XVII sec, ad aver pensato di posizionare una pietra molto resistente sotto il perno del bilanciere. Questo appassionato di matematica si era poi trasferito a Parigi dove non poté, per la sua fede religiosa (era un Ugonotto), entrare nell’Accademia delle Scienze, riparando quindi a Londra. Qui, con gli orologiai Peter e Jacob De Baufre, mise in pratica la sua teoria e poiché il diamante era troppo duro (e forse costoso) da lavorare ripiegò su zaffiri, rubini e agate, chiedendo al Parlamento inglese un brevetto d’invenzione, che non ottenne mai perché la pubblicità sull’argomento aveva irritato la Corporazione degli orologiai inglesi che portarono in Parlamento un orologio che Ignatius Huggenford aveva dotato di un rubino (ma si scoprì in seguito che lo aveva fatto solo per motivi estetici).

Nel 1771 Pierre Le Roy si occupò di rubini forati avendoli visti su orologi francesi e lo stesso fece Ferdinand Berthoud che invece li aveva visti su un cronometro da Marina di Harrison. Nel 1800 Abraham-Louis Breguet fu aiutato da un orologiaio inglese, che sapeva forare le pietre e una ventina di anni più tardi Frederic Ingold, che aveva lavorato alle sue dipendenze, aprì un laboratorio a La Chaux-de-Fonds. Con lo sviluppo industriale alle pietre naturali si sostituirono quelle sintetiche. La lavorazione eseguita in Italia subì un grave colpo con l’avvento dei movimenti al quarzo e a Soresina chiusero tutti i laboratori che impiegavano operai a domicilio e terminò così un’epoca d’oro per la provincia di Cremona.

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